a cura di Alessandro Martinelli
Monsieur Dior è osannato da tutti come l’inventore del “New Look”, che fece riscoprire alle donne, a partire dal 1947, il potere dell’eleganza e della femminilità dopo le barbarie e la povertà causate dalla Seconda Guerra Mondiale; pochi invece conoscono il suo profondo legame con l’arte e le avanguardie del Novecento creando una stretta connessione tra le sue ossessioni e passioni e il suo modo di concepire la moda.
Nonostante la rassicurante scelta di frequentare l’Istituto di Scienze Politiche di Rue Saint-Guillaume a Parigi, il giovane Christian, durante il suo primo soggiorno nella capitale, cominciò a apprezzare talmente l’effervescente vita notturna e artistica nella capitale che già a 20 anni era diventato amico di Jean Cocteau e del musicista Henri Sauguet. Entrò così a far parte di un piccolo gruppo di intellettuali, soprannominato “Le Club”, che si riuniva settimanalmente al “Tip toes bar” su Rue Tronchet: tra di loro ricordiamo il talentuoso pittore Christian Bérard, il poeta Max Jacob, lo storico Pierre Gaxotte, lo scrittore René Crevel, e l’attore Marcel Herrand.
Successivamente, l’amico Jacques Bonjean gli propose di diventare suo socio nel ruolo di direttore di una galleria d’arte, situata in un vicolo cieco in Rue de la Boétie, che ha avuto il merito, fin da subito, di accogliere le opere di artisti già celeberrimi o che presto lo sarebbero diventati: Paul Klee, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti, Maurice Utrillo, Pablo Picasso e molti altri.
Purtroppo, a causa della crisi economica del 1929, questa meravigliosa avventura finì, ma grazie all’amicizia con il creatore Jean Ozenne, stilista di successo durante i primi anni Trenta, si avvicinò al modo della moda, partendo da una collezione di cappelli che ebbe molto successo.
Prima come assistente da Piguet e Lelong e poi, a partire dal 1947, come couturier indipendente, il suo modo di concepire la creatività lo rende più vicino al mondo dell’arte che a quello della sartoria: egli costruiva abiti come un architetto, sceglieva i colori come fosse un pittore e si avvaleva della collaborazione di grandi talenti come il fotografo Willy Maywald e il disegnatore René Gruau.
Dopo la prematura scoparsa nel 1957, i successori che si sono susseguiti nel corso dei decenni hanno saputo rispettare il “savoir-faire” della maison e hanno mantenuto questa stretta connessione con il mondo dell’arte.
Per la collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1984/85, Marc Bohan si ispira alle opere di Jackson Pollock, il pittore americano simbolo dell’espressionismo astratto, creando dei ricami e delle stampe che riproducevano l’effetto “dripping” su boleri e abiti da sera dalle tinte accese, talvolta accompagnati da gioielli soprannominati “Pollock” in jais e pietre colorate.
Per la collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1993/94, intitolata “Images dans le miroir”, Gianfranco Ferré ricrea i fasti del Rinascimento italiano, riscoprendo il cromatismo vibrante di Tiziano o di Rembrandt, la profondità dei rossi, dei porpora e dell’oro alternata alle nuances più delicate tipiche di Veronese.
La collezione “Hommage à Paul Cezanne” (Haute Couture Autunno/Inverno 1995/96) celebra l’apertura di una omonima retrospettiva tenutasi al Grand Palais e permette all’”architetto della moda” di dare libero sfogo alla sua creatività attraverso un sapiente studio dell’opera del pittore post-impressionista: giochi di ombre e di luce, combinazioni di grigio, nero e marrone ravvivate da tocchi di colore (il rosso de “L’Après-midi à Naples”, il cobalto di “Vase bleu”, il verde smeraldo de “La Montagne Sainte-Victoire”) che delineano una silhouette elegante e dalla linea rotonda, estremamente femminile.
Per la primavera/estate 1999, John Galliano evoca, nei salons di Avenue Montaigne, un’atmosfera intimamente surrealista, dove i sapienti tagli evidenziano il gioco tra maschile e femminile, numerosi sono gli effetti”trompe-l’oeil” in sfumature monocrome di bianco e nero e l’esprit è raffinato e romantico. L’ispirazione nasce dalle fotografie d’Angus McBean e Man Ray e dai loro primi esperimenti con la luce e l’esposizione, così come dai ritratti creati da Madame Yevonde, dove le signore dell’alta società venivano idealizzate e immaginate come divinità greche (Atena o Diana).
Per la collezione Pret-à porter Autunno/Inverno 2013/14, Raf Simons riscopre la stretta connessione tra surrealismo e il primo periodo della Pop art di Andy Warhol, la delicatezza e la sensibilità delle sue prime opere dalla forte connotazione grafica. I primi disegni dell’artista americano, la cui installazione “Silver Clouds” ha ispirato il set della sfilata all’Hotel des Invalides, sono il leitmotiv di tutta la collezione, che è pensata come fosse un “cahier d’inspiration”, un “collage” tra il passato di Monsieur Dior e lo spirito modernista dello stilista belga.
Infine, durante le ultime sfilate di haute couture per la primavera/estate 2018, Maria Grazia Chiuri riscopre la passione surrealista del fondatore, che ha avuto il merito di organizzare a Parigi la prima personale di Leonor Fini, donna incredibile che viveva la moda come forma di rappresentazione di sé e dei suoi vari aspetti a tal punto da considerare se stessa un’opera d’arte. La maschera non è più oggetto di mistero che cela la propria identità, ma serve a rilevare il proprio essere. Nella collezione si ritrovano molti outfits maschili, che rieccheggiano il passato dell’artista, costretta a travestirsi per sfuggire dal padre che voleva rapirla, così come hanno un ruolo centrale gli abiti “panier” (il tema della gabbia è ricorrente in molti artisti come Man Ray o Magritte), i motivi ad effetto “domino”, l’effetto trompe l’oeil di parti del corpo o di false pieghe o righe montate sfalsate e il contrasto black& white, simbolo del subconscio, squarciato da tocchi di rosso regale.