a cura di Alessandro Martinelli
« J’ai abordé tous les pays par le rêve. » Yves Saint Laurent
Fino al 27 Gennaio 2019, il musée Yves Saint Laurent Paris, inaugurato nell’ottobre 2017, ospita la prima di una serie di mostre temporanee dal titolo “L’Asie rêvée d’Yves Saint Laurent “, che presenta circa 50 modelli haute couture ispirati all’India, alla Cina e al Giappone. Tali capi dialogano dinamicamente con oggetti d’arte asiatici presi in prestito dal Museo Nazionale delle arti asiatiche Guimet e da collezioni private, in modo tale da offrire uno spaccato inedito dell’opera del coututier franco-algerino.
Grazie ai suoi viaggi immaginari, Yves Saint Laurent ha costruito una visione da sogno di terre lontane, filtrate attraverso la conoscenza che è nata dalle sue letture e dallo studio diretto degli oggetti d’arte esotici, studiando approfonditamente i costumi locali, esplorando il folklore e superando gli stereotipi al fine di proporre una visione sublimata delle tradizioni di popoli mitici. Tra tutti gli esotismi, l’Asia occupa un posto particolare di cui lo stilista propone una visione a tratti letterale e a tratti sublimata. Durante tutta la sua carriera, ha rielaborato i costumi tradizionali per dare vita alle sue creazioni di alta sartoria.
« Il me suffit de regarder un très beau livre sur l’Inde pour dessiner comme si j’y avais été. C’est le rôle de l’imaginaire. » Yves Saint Laurent
L’India è una delle fonti di ispirazioni maggiori della produzione di YSL: la sua conoscenza proviene essenzialmente dai libri che possiede e fin dalla sua prima collezione couture (Primavera/estate 1962) reinterpreta gli abiti del guardaroba reale dell’India del Nord, rendendo femminile il tradizionale cappotto indiano. Ha sviluppato, così, un gusto per preziosi broccati in seta oro, per ricami in metallo in rilievo e per sofisticati bottoni gioiello, presi in prestito dai costumi principeschi della dinastia Moghul , che regnò in India dal XVI al XIX secolo. Lo stilista reinterpreta l’uso dei bijoux di questi ultimi riprendendo il boteh, emblema floreale a forma di palma del potere reale, che viene usato allo stesso modo come ornamento dei sarpech (turbanti).
Nella collezione Haute Couture Primavera/estate 1982, detta “Indienne”, sono presenti più di venti abiti da sera, abiti e completi in cui l’uso del bolero maschile indiano è arricchito da bordi riccamente lavorati, da passamanerie e da pietre e contrastato da fastose gonne in faille di seta moiré. Forti sono le contrapposizioni di colori complementari come il blu vivo e l’arancione saturo, equilibrata è la silhouette basata sul rapporto delle proporzioni e sui tagli magistrali e decisi.
Nella sua ultima collezione, presentata al Centre Pompidou nel Gennaio 2002, il designer propone alcuni abiti leggeri drappeggiati che riecheggiano la foggia dei sari, costumi tradizionali dell’India hindu del Sud: di leggera mousseline, donano al corpo femminile una grazia e una sensualità uniche, grazie al gioco di vedo-non vedo molto discreto. Nella mostra, le creazioni di YSL sono affiancate da sontuosi abiti del XVIII-XIX secolo, da una statua equestre in argento nonché dai portoni dei grandiosi palazzi del Rajasthan, i cui ornamenti ricordano quelli riprodotti da Yves. I rimandi estetici traspaiono inoltre nei bozzetti originali che sono posti accanto a antiche miniature.
« Pékin, cependant, reste un souvenir éblouissant. Cette Chine, que j’avais si souvent interprétée dans mes créations, je l’ai trouvée exactement telle que je l’avais imaginée. Il me suffit d’ailleurs d’un livre d’images pour que mon esprit se fonde dans un lieu, ou un paysage. […] Je n’éprouve aucun besoin de m’y rendre. J’en ai tellement rêvé… » Yves Saint Laurent
La prima volta e ultima che il creatore giunge in Cina è per la mostra personale a lui dedicata nel 1985: il suo amore per questo paese traspare dalle collezioni di libri, film o oggetti d’arte collezionati assieme a Pierre Bergé, che ispirano la creazione di volumi ampi, storicamente simboleggianti la status sociale di chi li indossava. Riecheggiando le giacche tradizionali indossate dalle donne dell’etnia Han (originaria della Cina continentale), Ysl mantiene di questo capo solo il taglio e le maniche importanti, mentre la costruzione dell’indumento rimane tipicamente occidentale. L’ispirazione cinese sembra soprattutto rispettare la tradizione dell’opera di Pechino, che non cerca di riproporre una veste in modo autenticamente fedele alla tradizione storica ma di produrre un effetto estetico, evidenziando i movimenti degli attori.
« Des fumées de mon cerveau déchiqueté ressurgissent toutes les dynasties, leur fureur, leur arrogance, leur noblesse, leur grandeur. Je parviens enfin à percer le secret de la Cité impériale d’où je libère, mes fantômes esthétiques, mes reines, mes divas, mes tourbillons de fête, mes nuits d’encre et de crêpe de Chine, mes laques de Coromandel, mes lacs artificiels, mes jardins suspendus » Yves Saint Laurent
Il primo gioiello d’ispirazione cinese creato da Yves è un girocollo, un disco di resina rossa attraverso cui passa un cordoncino di passamaneria nera che termina con un pompon di seta: risale alla collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1969/1970 ed è indossato con una tuta di jersey nera a maniche corte. Un anno dopo, si ritrova un accenno al costume cinese nella Collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1970/71: mantelli di camoscio ricamato indossati con gli stivali e dei cappelli con lunghe piume di fagiano, completi marocchini, tuniche indiane, ensemble ricamati con fiori di ciliegio, turbanti e scarpe con la zeppa presi in prestito dagli anni Quaranta e sette completi di satin e velluto di seta con fiori e farfalle multicolori, che evocano le vesti d’ispirazione mancese e quelle di foggia qypao, tipiche della Shanghai anni Trenta.
I tessuti accarezzano con fluidità il corpo, le bluse sono lunghe e hanno la manica a T, il colletto, invece, con la sua chiusura sul lato, evoca le vesti “dragone” della dinasta Manchu. La passione per il Sol Levante raggiunge il suo massimo apice nel 1977, un anno dopo la collezione chiamata “Ballets Russes”, con la sua collezione “Chinoise”: 132 modelli opulenti e a tratti folli, che non strizzano l’occhio soltanto alla Cina, ma anche ai boiardi, alle creature della steppa, alle “cocottes” semi vestite in satin di seta e pizzo. Sulla testa cappelli a forma di cono, importanti tocchi di pelliccia, fiori e cappelli ornati di piume, che si rifanno al movimento punk di quegli anni. L’ispirazione cinese traspare attraverso il taglio, la scelta dei colori e dei motivi, ma anche attraverso i tessuti e le rifiniture. I tagli dritti, i volumi e le maniche ampie e decise sono declinate nei toni del nero, del rosso aranciato e dei viola saturi arricchiti con dettagli dorati; negli abiti floreali, invece, lo spettro cromatico è utilizzato in tutto il suo potere ed è dominato dal blu, dal verde, dal violetto e dal rosa. La seta occupa un posto privilegiato all’interno della collezione, declinata nel satin e nei velluti lisci o lavorati: abbondante è l’uso del filo e della lamina dorata, nonché dei tessuti cerati matelassé o ricamati, che richiamano la cera-lacca inventata da questo straordinario popolo.
« Si j’ai choisi Opium comme nom pour ce parfum, c’est que j’ai espéré intensément qu’il pouvait, à travers toutes ses puissances incandescentes, libérer les fluides divins, les ondes magnétiques, les accroche-coeurs et les charmes de la séduction qui font naître l’amour fou, le coup de foudre, l’extase fatale lorsqu’un homme et une femme se regardent pour la première fois. » Yves Saint Laurent
Nell’ottobre del 1977, Yves Saint Laurent organizza il lancio del suo nuovo profumo Opium: da colto esteta, è profondamente coinvolto nella creazione di questo profumo, disegnando, descrivendo e validando ogni fase del processo produttivo, dalla creazione della confezione alla cartella stampa.
I vari progetti della bottiglia, pensata assieme a Pierre Dinard, partono dalla riproduzione degli inro giapponesi del periodo Edo o dell’epoca Meiji (XVII-XIX sec.), mentre la campagna pubblicitaria è trasgressiva e di forte impatto: la fotografia di Helmut Newton con Jerry Hall e lo slogan provocatorio “Opium, per coloro che si abbandonano a Yves Saint Laurent” creano un forte desiderio ma anche uno scandalo di proporzioni inaudite.
Opium entra nel mercato americano nel settembre 1978 con una spettacolare festa di lancio organizzata su un battello chiamato “Peking” ormeggiato sul porto di New York. L’American Coalition Against Opium and Drugs diede vita a una campagna di boicottaggio del prodotto, affiancata dalla comunità cinese che vedeva nel nome una provocazione diplomatica. Nonostante questo, tale fragranza è rimasta nei decenni una delle più vendute della storia della profumeria commerciale.
« Très tôt je suis allé à la rencontre du Japon et tout de suite j’ai été fasciné par ce pays ancien et moderne et j’ai, depuis, à diverses reprises subi son influence. D’autres avant moi connurent cette admiration : Monet, Van Gogh et tous les artistes art-déco qui furent si importants à notre époque. Aujourd’hui, le Japon ne cesse de grandir et a réussi le miracle suprême de célébrer les noces du passé et du présent. » Yves Saint Laurent
Nel 1963, meno di due mesi dopo aver aperto la casa di haute couture, Yves Saint Laurent e Pierre Bergé si recano in Giappone per presentare la collezione primavera-estate con l’aiuto di Hiroshi Kawazoe, rappresentante per la casa di Yves Saint Laurent in Giappone e di Bergé amico personale. Visitano Tokyo e Kyoto, dove hanno ammirato i celebri fiori di ciliegio (sakura) insieme a cortigiane vestite con brillantissimi kimono.
Saint Laurent e Bergé possedevano una collezione di scatole laccate e mobili (urushi), la cui decorazione in polvere d’oro (maki-e) mostrava una notevole tecnica. Le ceramiche che acquistarono furono principalmente pezzi di porcellana decorati con fiori e piante, a testimonianza della intrinseca connessione della gente giapponese con la natura. La maggior parte di questi lavori furono acquistati in Francia attraverso antiquari e galleristi, mentre alcuni furono commissionati in Giappone.
Affascinato dall’epoca Edo (1600-1868), durante la quale l’arte si è progressivamente affrancata dal potere imperiale, e dal teatro Kabuki, Yves ha più volte rivisitato l’abbigliamento tradizionale giapponese, il kimono. Dalla forma a T, dona a questo capo una versione che mantiene la fluidità delle linee con una falda incrociata sull’altra, accompagna la silhouette nel movimento anziché vincolarla. Pur rispecchiando la quintessenza ancestrale del Giappone e la sua delicata raffinatezza, l’interpretazione del kimono da parte dello stilista è comunque una vera e propria creazione originale che rende omaggio alla grazia delle cortigiane che vagano per le strade di Gion, area riservata di Kyoto. Gli ensemble serali della collezione Autunno-Inverno 1994 rendono omaggio al Giappone citando letteralmente i kimono. Il tradizionale indumento interno divenne un cappotto cerimoniale indossato sopra un vestito. Le passamanerie ricamate con perline seminali sostituivano le cinture e venivano abbinate a kimono lunghi e corti. I tessuti lamé di seta trapuntati e stampati per questi capi sono stati creati dalla Maison Abraham e sono simili ai tessuti tradizionali del distretto di Nishijin, in cui strisce di carta dorata sono inserite nella trama di fondo.
Una serie di sette abiti da sera in crêpe di georgette della collezione autunno-inverno 1970 sono ispirati al Giappone. Basati su una forma semplice e dritta e con un’apertura laterale per alcuni, sono stati realizzati in colori scuri come il rame, il nero, il blu marino e il blu-verde. L’influenza giapponese è stata convogliata nei motivi ricamati che decorano questi disegni, che includono fiori di ciliegio (sakura), glicine (fuji), fiori di pruno (ume) e canne, e ricordano il fogliame giapponese raffigurato in stampe e oggetti decorativi. Altri due disegni in colori chiari – un vestito e una giacca – tunica in raso di seta sono ricamati con farfalle e rami di fiori di ciliegio. Molti di questi capi sono stati impreziositi da girocolli in metallo dorato a forma di farfalle e realizzati dall’artista Claude Lalanne. La natura occupa un posto di rilievo nell’arte giapponese: in particolare, gli iris sono spesso raffigurati in stampe, interni di templi e tessuti. Si trovano in particolare sugli straordinari schermi pieghevoli di Ogata Korin (1658-1716) e nelle stampe di Katsushika Hokusai (1760-1849). Dopo l’Esposizione Universale del 1867, in cui il Giappone era ufficialmente presente per la prima volta, nacque il movimento Japonisme, che ha influenzato artisti come Vincent van Gogh (1853-1890), la cui pittura Iris del 1889 (tenutasi al J. Paul Getty Museum di Los Angeles) ha reinterpretato la serie di Iris e Cavalletta di Hokusai. Saint Laurent ha proseguito sulla stessa linea quando, per la collezione primavera-estate 1988, ha disegnato una giacca ricamata dalla Maison Lesage con ricamata la pittura di Van Gogh e, in tal modo, mutua più ampiamente dall’immaginario giapponese.