Spesso si è portati a credere, erroneamente, che le qualità fondamentali di una buona fotografia siano la nitidezza e la massima fedeltà nel riprodurre un soggetto. Esistono infatti un’infinità di immagini che, pur possedendo in pieno questi requisiti, ci appaiono noiose e banali, senz’anima: cerchiamo di capirne il perché.
Anzitutto bisogna pensare che una fotografia è necessariamente una sintesi, nel tempo (perché ne coglie un attimo) e nello spazio (perché ne può abbracciare solamente una porzione), e come tutte le sintesi è buona solo se riesce a comunicare il massimo rivelando il minimo, fornendoci con pochissimi elementi l’opportunità per grandi intuizioni. Infatti, meno si vede più si sogna, e quasi sempre il sogno è più bello e interessante della realtà. Il sogno cancella i difetti e li trasforma in fantasia, emozionandoci proprio grazie alla sua natura evanescente, non completamente esplicita.
Osservando un’immagine iperrealista la nostra attenzione è costretta a guardare tutto, cercando di cogliere e razionalizzare ogni minimo dettaglio e informazione, in un processo spesso affannoso e dispersivo. Al contrario, meno informazioni ci sono e più la nostra attenzione si concentra su ciò che rimane: cancellando una serie di cose se ne evidenziano altre, elevandole a sintesi.
Ecco quindi che, togliendo a un’immagine tutte le informazioni relative al colore, si compiono due importanti operazioni: far cadere maggiormente l’attenzione su ciò che rimane (specialmente le geometrie ed i contrasti), e farci interpretare, e quindi sognare attraverso una scala di grigi, una realtà diversa da come siamo abituati a vederla.
Fin dai suoi albori, la fotografia, che nasce appunto in bianco e nero, ci ha regalato numerosissime emozioni legate a questa tecnica, che ha reso unico lo stile di moltissimi grandi artisti. Citarli tutti richiederebbe innumerevoli pagine: eccone alcuni, tra i più significativi: Man Ray, Weston, Adams, Cartier-Bresson, Woodman, Mapplethorpe, Avedon, Newton, Barbieri, Ritts, Lindbergh, Bitesnich…
a cura di Andrea Chemelli
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