IL FRULLATO – IL LATO DELLA FRU a cura di Sara Fruner
Di recente mi è capitato di passare per l’Academy Cinemas di Auckland, l’unico cine d’essai ospitato dalla città neozelandese ― sarebbe interessante dilungarci sul perché e il percome Auckland abbia un solo cinema d’essai, ma il Frullato di oggi ha altri frutti per la testa. Lì, all’Academy, ho visto Anomalisa, un film che in Italia è passato in una manciata di sale, e che tuttavia si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia del 2015. Il geniaccio che ha creato questo gioiello è Charlie Kaufman. Mai sentito parlare di Essere John Malkovich, Il ladro di Orchidee (diretti da Spike Jonze)? Di Human Nature e Se mi lasci ti cancello (diretti da Michel Gondry)? Ecco, le sceneggiature sono uscite dalla penna di Kaufman. Se poi siete anche stati così spericolati d’aver visto Synecdoche, New York, di cui ha firmato la regia, saremo amici per la vita.
Anomalisa s’inserisce perfettamente nella sua produzione, tutta vòlta a investigare questioni come apparenza e verità, solitudine, transitorietà dell’amore ― le classiche macro questioni che ossessionano il suo (il nostro!) quotidiano. Ma è l’identità, la vera preda di Kaufman: la rincorre in ogni film, e in ogni film sembra lì lì per acciuffarne il mistero. In parte ci riesce ogni volta, in parte no, il che permette a lui di continuare la caccia film dopo film, e a noi di beneficiarne.
Anomalisa è un film d’animazione, ma non v’immaginate Holly&Benjie adesso… Immaginate invece Wallace&Gromit. Il regista ha impiegato la tecnica dello stop-motion: dei pupazzi tridimensionali mossi fotogramma per fotogramma, uniti poi in sequenza per dare l’effetto del movimento. Non è un caso che abbia scelto questa tecnica: gli servivano dei pupazzi, e dei pupazzi ha avuto. Nulla è mai lasciato al caso, da Charlie il Cerebrale…
Michael Stone è un autore di libri motivazionali per operatori di call-center, in visita a Cincinnati per tenere una conferenza. Nell’albergo dove alloggia, il Fregoli, durante la notte che precede l’evento, incontra Lisa, una ragazza che il mondo non definirebbe certo Bar Rafaeli, ma che ciononostante lo colpisce ― ai suoi occhi Lisa è diversa da tutte, è “anomala”, e lui si diverte a farne un gioco di parole, un vezzeggiativo, “Anomal-lisa”. Ai due serve poco per invaghirsi l’uno dell’altra, e finiscono per trascorrere la notte insieme. Ma il risveglio, come ogni risveglio reale e metaforico, porta con sé una realtà ben diversa da quella conosciuta durante l’idillio notturno. Forse Lisa non è poi così perfettamente anomala come Michael ha immaginato…
Come in ogni prodotto kaufmaniano che si rispetti, i fatti sono solo apparentemente facili da interpretare, e la trama è proprio “trama”, un ordito che lascia numerosissimi buchi aperti al dubbio e alla riflessione. Perché tutti i pupazzi sembrano ― sono?? ― uguali, hanno gli stessi lineamenti e, fondamentalmente, le stesse identità reiterate? Perché hanno la stessa voce mascolina? Tutti tranne Lisa?
Lì per lì gongoliamo di gusto, pensando di aver capito Kaufman: ma certo, è il tipico modo di rappresentare una società disumanizzata abitata da fantocci tutti uguali, ma poi quando arriva il vero amore, bum, lo riconosci subito, salta all’occhio perché “diverso”, è unico e “anomalo”… Kaufman, stavolta ti abbiamo beccato! Ma se fate attenzione, intravedrete in lontananza lui, Kaufman, fare no-no con l’indice…è lui, che ha beccato noi nel nostro standard way of thinking…
Scavando un po’ a fondo, scopriremo che “Fregoli”, oltre ad aver prestato il nome all’hotel dove Michael trascorre la notte, e ad essere stato un noto trasformista nel primo ‘900, dà anche il nome all’omonima sindrome: una malattia psichiatrica in cui il paziente è convinto che le persone siano in realtà tutte lo stesso individuo, con diverse fattezze… E come abbiamo imparato, il caso non c’entra.
Non c’è solo molto lavoro di pensiero nel film. C’è anche moltissima ironia. Ma il riso non è catartico come agli albori del genere comico; è disincantato. Davanti alle ovvietà che si scambiano i personaggi che gravitano nell’orbita di Michael, siano essi parenti o sconosciuti ― ovvero gli abitanti del mondo d’oggi, ovvero noi ― Michael si spazientisce: non riesce più a vivere in una mediocrità simile. Lisa rappresenta il diverso anche in questa prospettiva: il suo linguaggio è spontaneo, libero, non imprigionato nel cicaleccio vacuo del pour-parler quotidiano. Eppure sì, si ride. Soprattutto, si sgranano gli occhi e si fanno girare gli ingranaggi del cervello ― del resto è questo, a cui punta Charlie il Cerebrale…
Se avete voglia di giocare con le scatole cinesi di autenticità e (dis)simulazione in un mondo standardizzato e standardizzante dentro un film che è tutt’una scoperta, non perdetevi Anomalisa. A ripensarci, sì, un viaggio dall’altra parte del pianeta lo merita proprio…
Quanto a stile…
“Cercate in ogni persona un particolare che la renda unica”, dice Michael in uno dei suoi libri motivazionali ― e nel trailer del film. Questo film è quanto di meno fashion uno potrebbe immaginare: se guardate i pupazzi, che impersonano noi, noterete che sono tutti vestiti anonimi, indossano capi normali, senza nulla che li distingua. Eppure, se guardate bene…Lisa è l’unica che porta dei fiori sulla camicetta, un pendaglio attorno al collo. È anomala anche lì, diversa anche lì. Come se solo la sua camicetta potesse far spuntare dei fiori e distinguerla, togliendola dall’anonimato che dilaga nel resto del mondo. Fiori su una camicetta e un ciondolo possono fare la differenza…