Colori shock e contrasti chic per osare con stile sfidando la quotidianità. Abbinamenti inconsueti di fantasie e materiali, di forme e volumi per esaltare una femminilità contemporanea e gioiosa. Absolutely Glam: gli outfits street style proposti per la SS16!
Subito lo associo a qualcosa di non bello: nel momento in cui intendo rafforzare una situazione negativa, uso l’aggettivo nero. Una giornata nera. Il fatidico venerdì nero del Ventinove. Lo stesso vale per definire una sfortuna al quadrato, meglio definita jella che diventa una jella nera, o per una persona dall’animo cattivo, pericolosa a sé e agli altri, non esitiamo ad etichettarla come un’anima nera. Per cui ho sempre trovato assai ridicolo il dettame del politically correct per cui anche in italiano si usa nero al posto di negro, che altro non è che l’aggettivo latino. In spagnolo poi non esiste differenza.
Subito dopo mi viene in mente l’opera al nero: nel mondo alchemico, così ben descritto da Marguerite Yourcenar, l’opera nera (opus nigrum) è la fase della spoliazione delle forme, della dissociazione degli elementi e della purificazione della materia. Il protagonista del romanzo, che ha trovato rifugiato in un monastero sotto mentite spoglie, si rende conto, nella dinamica della trasformazione della materia, di essere egli stesso l’ opera trasformata. Gli è chiaro quindi che dovrà attraversare la fase della ‘nigredo’ per rendere puro il proprio essere dalle filosofie e teologie imperfette del proprio tempo. Una volta compiuto questo rito di trasformazione, potrà il nostro protagonista, accedere a una diversa cognizione del mondo e di se stesso.
Anche in questo caso il nero, nello specifico l’immersione nel nero, lo collochiamo in quella dimensione ineffabile in cui si confondono i confini tra il bene e il male e i contorni e le relazioni spaziali tra le cose assumono rapporti inediti e paradossali.
Il nero è il colore che crea immediatamente illusione ottica. Tant’è che da sempre esiste il teatro nero, il cui principio si fonda proprio sull’illusione ottica, sul trucco visivo della stanza nera, che sfrutta l’imperfezione dell’occhio umano. L’oggetto o il corpo nero sullo sfondo nero non può essere percepito dall’occhio umano. Il gioco di questo tipo è molto semplice da realizzarsi sul palcoscenico. Gli attori, completamente vestiti di nero, agiscono sullo sfondo nero. Dalla platea gli spettatori non distinguono gli attori dalla sfondo e, proprio per questa ragione, gli oggetti e gli attrezzi mossi dagli attori vestiti di nero prendono una stupefacente capacità di movimento autonomo davanti agli occhi degli spettatori. Il teatro è soprattutto stupore e il fatto che oggetti inanimati si tramutino in oggetti animati, fa sì che si riproduca quel miracolo chiamato azione scenica.
Il teatro nero ha la sua origine nell’ombra che è l’equivalente del nero: i cinesi usavano le luci delle candele per le loro rappresentazioni teatrali, ottenute dall’ ombra delle silhouette proiettate su uno schermo in tela bianca. L’ombra ovviamente è di color nero, è sovente foriera di pericolo, paura dato che l’oscurità e la tenebra le associamo al male, contrapponendola alla luce che simboleggia il bene e il progresso.
Ora chiudo facendomi un’altra domanda: come è possibile con tutte questa teoria di valenze negative che il nero si porta dietro, sia di fatto il colore dell’eleganza più sofisticata?
Pseudonimo di Helmut Neustadter, berlinese di origine ebraica, la sua vita sembra la trama di un film. Di famiglia benestante, fugge dalla Germania nel’38 rifugiandosi prima a Singapore e successivamente in Australia, dove svolge una serie di lavori tra cui il fotoreporter. Dopo la guerra, alla quale partecipa indossando la divisa australiana, incontra e sposa la modella e attrice June Browne (che diverrà sua inseparabile assistente e fotografa con lo pseudonimo di Alice Springs) e inizia a collaborare con le riviste di moda, a cui si dedicherà a tempo pieno a partire dagli anni ’50. Nel ’61 si trasferisce a Parigi, negli Stati Uniti e successivamente a Montecarlo. Elencare tutte le testate a cui collabora e le campagne che portano la sua firma è impossibile, ma ogni sua foto è riconoscibilissima per lo stile inconfondibile: un erotismo patinato, ricco, a volte con tratti sado-masochistici, feticistici e voyeuristici, spesso ambientato in grandi alberghi, piscine, ma anche garage e ambienti di degrado urbano. Agli inizi degli anni ’70 intuisce l’affermarsi di una nuova figura femminile: una donna forte, che conduce il gioco anche (e soprattutto) quando è nuda. Questo concetto è ben espresso nel dittico intitolato “arrivano”, in cui un gruppo di quattro modelle avanzano camminando, riprese prima vestite e poi, nella stessa identica posa, indossando unicamente dei decolletè neri con tacco a spillo. Una donna protagonista, carica di energia, capace di prevaricare il ruolo del maschio, che nelle foto di Newton è quasi sempre una figura di secondo piano (egli stesso si autodefinisce “un guardone professionista”). Anche la sua uscita di scena è da film: a 83 anni si schianta con la sua Cadillac contro il muro dello Chateau Marmont, famosissimo hotel di Hollywood in cui era solito abitare durante le sue permanenze californiane. Il corpus principale delle sue opere è conservato presso la Fondazione Helmut Newton di Berlino, ma proprio in questi giorni è possibile visitare una sua grande mostra con 200 tra le sue immagini più celebri, a Venezia, Casa dei Tre Oci, fino al 7 agosto (info 041-2412332)
Spesso si è portati a credere, erroneamente, che le qualità fondamentali di una buona fotografia siano la nitidezza e la massima fedeltà nel riprodurre un soggetto. Esistono infatti un’infinità di immagini che, pur possedendo in pieno questi requisiti, ci appaiono noiose e banali, senz’anima: cerchiamo di capirne il perché.
Anzitutto bisogna pensare che una fotografia è necessariamente una sintesi, nel tempo (perché ne coglie un attimo) e nello spazio (perché ne può abbracciare solamente una porzione), e come tutte le sintesi è buona solo se riesce a comunicare il massimo rivelando il minimo, fornendoci con pochissimi elementi l’opportunità per grandi intuizioni. Infatti, meno si vede più si sogna, e quasi sempre il sogno è più bello e interessante della realtà. Il sogno cancella i difetti e li trasforma in fantasia, emozionandoci proprio grazie alla sua natura evanescente, non completamente esplicita.
Osservando un’immagine iperrealista la nostra attenzione è costretta a guardare tutto, cercando di cogliere e razionalizzare ogni minimo dettaglio e informazione, in un processo spesso affannoso e dispersivo. Al contrario, meno informazioni ci sono e più la nostra attenzione si concentra su ciò che rimane: cancellando una serie di cose se ne evidenziano altre, elevandole a sintesi.
Ecco quindi che, togliendo a un’immagine tutte le informazioni relative al colore, si compiono due importanti operazioni: far cadere maggiormente l’attenzione su ciò che rimane (specialmente le geometrie ed i contrasti), e farci interpretare, e quindi sognare attraverso una scala di grigi, una realtà diversa da come siamo abituati a vederla.
Fin dai suoi albori, la fotografia, che nasce appunto in bianco e nero, ci ha regalato numerosissime emozioni legate a questa tecnica, che ha reso unico lo stile di moltissimi grandi artisti. Citarli tutti richiederebbe innumerevoli pagine: eccone alcuni, tra i più significativi: Man Ray, Weston, Adams, Cartier-Bresson, Woodman, Mapplethorpe, Avedon, Newton, Barbieri, Ritts, Lindbergh, Bitesnich…
C’era una volta il jukebox. Per anni quello splendido “animale d’arredamento” riempiva bar, bettole, ristoranti e alberghi delle località balneari e si metteva sull’attenti non appena gli veniva introdotta una moneta: era quello il momento in cui il dito del vacanziero, selezionava una delle hit proposte dal tabellone e, al ronzio di un piccolo movimento meccanico, il vinile era pronto a suonare. Io ho tanta nostalgia dell’analogico, ora è tutto così freddo, così Mbyte da sfiorare, che oramai i vecchi jukebox sono stati rimpiazzati non solo da radio, ma da lettori mp3, cellulari e tablet e il suono…. beh il suono è quel che viene, ma arriva dappertutto!
Anche questa settimana ecco la mia playlist d’avanguardia per i tormentoni estivi, strizzando l’occhio a quel nostalgico mondo analogico che sta ritornando prepotentemente in auge.
FAVELA – GONG
Favela, produttore e cantautore di Leeds è la soluzione avvolgente per una bella passeggiata al crepuscolo, o perché no , per un giro in bicicletta alla luce delle stelle. Liquidi suoni e beat notturni minimali fanno di questo singolo d’esordio un prezioso fiore all’occhiello nelle nuove produzioni indie, quei vagiti che si fanno interessanti e poliedrici e che conducono a una nuova forma-mentis musicale che va ben oltre la new age, e che ben sposa l’etericità del dream-pop.
RADIOHEAD – BURN THE WITCH
Ben tornati Radiohead! E come potevano mancare in una doverosa selezione estiva! Questo pezzo incalza come un sogno che si fa incubo, che ti abbraccia come un canto della sirena e che muove i suoi passi mantenendo una certa coerenza con le produzioni passate, forse perché questo brano ha avuto una gestazione di tredici anni e alla fine ha deciso di ripopolare il nuovissimo disco della band “A Moon shaped pool”. Toni dark e messaggi salvifici: smettiamola di dare la colpa agli altri!
MODERAT – REMINDER
Altro piacevole ritorno, si tratta di Apparat e il suo seguito ,che pubblicano “III” il loro nuovo disco. I Moderat che finora hanno giocato amalgamando perfettamente techno minimale con Idm e indietronica creando piccoli e stupefacenti singoli come la splendida “A New Error”. In questo ultimo lavoro si approcciano alle sonorità care ai Radiohead e producono un album dolcissimo, morbido e tendenzialmente molto notturno. Da non perdere nell’edizione deluxe lo splendido remix di “Special” ad opera degli Special Request così, per animare i vostri afterhours estivi…
GARBAGE – EMPTY
Chi ama il rock, non può che perdersi nelle chitarre pulite di questa Empty, e innalzarla a inno. Brano questo, che fa da ponte tra le produzioni passate e uno sguardo maturo al futuro della band. Non dimentichiamoci che dentro questa “spazzatura”, c’è il poliedrico Butch Vig produttore di gruppi come Nirvana e Smashing Pumpkins, (per citarne alcuni) e la voce graffiante di Shirley Manson che con i suoi cinquant’anni d’età non ha perso né fascino né talento…. E se non vi bastasse, l’album appena uscito “Strange Little Birds” è un bell’esempio di come si fa rock senza scadere nel banale e nel ripetitivo.
ARCA – VANITY
Questo è Arca, alias Alejandro Ghersi è un giovanissimo (appena 26 anni) produttore discografico, musicista e DJ venezuelano. Dopo essersi fatto le ossa con alcuni EP e fatto conoscere nella cricca dell’underground londinese, ha lavorato dapprima con Kanye West per l’album Yeezus e poi con l’eclettica Bjork per l’ultimo disco Vulnicura. Ha persino prodotto e arrangiato i brani dell’EP2 di FKA Twigs (alcuni di voi si ricorderanno di lei perché fidanzata di Robert Pattinson, il vampiro Edward di Twilight) pregiata e delicata musicista, che deve proprio ad Arca la splendida riuscita del suo secondo parto in musica. La sua musica è caratterizzata da sperimentazione, tanto coraggio e fantasia ed è un’elettronica poco fruibile, ma di immagnifico potere ipnotico. L’infinità degli strumenti utilizzati, la loro poliedricità e duttilità, è al servizio di vere e proprie opere in musica, canovacci di storie che sul pentagramma si dipanano e fanno viaggiare la fantasia. L’ultimo disco “Mutant” è del novembre scorso e si prevede un nuovo disco a breve ma per il momento lasciatevi trasportare, rigorosamente a occhi chiusi, nel mondo trasfigurato di questo sensibilissimo compositore.
E voi, cosa decidete di ascoltare? Vi lascerete coinvolgere dalle melodie ruffiane del pop, o deciderete di farvi sedurre da sonorità un po’ inusuali e tutte nuove per quest’estate? Magari deciderete quando nella terza parte di questo articolo, andrò a recensire personalmente i tormenti dell’estate 2016.
“Specchio specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?”, questa frase risuona in ognuno di noi, perché appartiene alla co-protagonista di una fiaba molto famosa, e attiva il bisogno di bellezza, un anelito molto umano che muove pianeti interiori ed esteriori. La matrigna di Biancaneve però non conosceva la lettura emozionale e trasformatrice – chiedo scusa ai Fratelli Grimm – chiamata appunto Legge dello Specchio che, se compresa e assimilata, ci permette di essere i protagonisti del nostro ambiente interno ed esterno.
Gli specchi tradizionalmente rimandano l’immagine di chi si pone davanti, ma quale immagine? Quella esteriore relativa alla percezione di sé che ognuno di noi ha e che quindi è altamente soggettiva e variabile nel tempo (anche se il nostro ego ci fa credere che sia immutabile)? O quella interiore legata ai nostri sentimenti e desideri – vi ricordate di un altro specchio magico molto famoso, quello di Harry Potter che mostra quello che si brama più profondamente nel cuore – che ci commuove ed emoziona? Lo Specchio ci direbbe “la realtà che vivi esteriormente è un tuo riflesso, puoi conoscere il tuo cuore guardando quello che ti succede nella vita”.
E questo cosa significa concretamente? Cominciare ad osservare persone e situazioni vicine a noi e riconoscere se le sentiamo positive e nutrienti, oppure no. Se le percepiamo negative e pesanti e ci arrabbiamo con le persone coinvolte e con il destino cinico e baro, nulla cambia – se mi guardo allo specchio e vedo il mio viso sporco, non pulisco lo specchio ma mi lavo la faccia – se invece guardiamo dentro di noi, nel nostro cuore e trasformiamo i nostri pensieri e le nostre emozioni, permetteremo alla bellezza vera e profonda di risplendere esteriormente, luminosa e delicatamente abbagliante.
Nostra. Dunque il testo di Dante parla a noi, di noi. E la sua scrittura racconta storie. Di persone. Vere. Vive. Un tempo. Ho scelto di ambientare l’Inferno in un cimitero, quasi che i gironi fossero le tappe di un itinerario che è il pubblico stesso a compiere. Quasi che lo sguardo degli spettatori fosse una telecamera, che da una visione panoramica si fissa con lo zoom su un particolare. Come accade a un visitatore, la cui attenzione cade casualmente su una lapide, un nome, una fototra le tante. E per un attimo quel nome e quella foto riacquistano vita. Sono le anime dei dannati, che invitate da Dante a raccontarsi, vengono avanti con la teatralità di una scena madre. Un dialogo che diventa monologo, dove trovare – per un’ultima volta – corpo, peso, voce, respiro.
Il bianco di uno spotlight che illumina la scena. Il resto è silenzio. Buio. Sipario. “Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.”
… Si sveglia prima di te al mattino così è sicuro di esserci quando assonnata scendi dal letto, ti corre incontro la sera scodinzolando felice per accoglierti degnamente dopo una giornata di lavoro, non si perderebbe per nulla al mondo quegli attimi, quelle carezze….
Fido (per semplificare lo chiamerò così) è sempre pronto ad un gesto d’affetto ed in cambio chiede solo di essere amato, I suoi occhi quando ti guarda parlano….è un membro della famiglia a tutti gli effetti!!!
Se hai (o come me hai avuto) un cane sai cosa significa tutto ciò, sono emozioni bellissime anche se certamente scegliere di tenerne uno a volte comporta qualche piccolo problema o rinuncia…ad esempio il giorno del matrimonio…come fare?
Non può assolutamente mancare ad un avvenimento del genere!!! In passato questo sarebbe stato un problema , oggi non più!
Esistono, infatti, agenzie specializzate nella gestione di Fido e dei suoi amici a quattro zampe che vorranno presenziare alle tue nozze. Basterà una telefonata e l’agenzia si organizzerà per predisporre uno spazio adeguato, seguire e coccolare tutta la pelosa compagnia mentre tu ed i tuoi invitati potrete godervi la festa con accanto i vostri scodinzolanti amici. Bene ora che anche questo piccolo “ problema” è risolto non ti rimane che procurare al tuo Fido un adeguato papillon se maschio o un bel nastro se è femmina, magari da abbinare al tuo abito da sposa…dovranno essere eleganti per un giorno così speciale!!!!
In conclusione voglio approfittare di quest’articolo per lanciare un appello :
FIDO NON HA CHIESTO DI ESSERE ADOTTATO, E’STATO SCELTO!
DA UNA SCELTA DEL GENERE NON SI PUO’ TORNARE INDIETRO….
NON ABBANDONATE GLI ANIMALI DOMESTICI…
LORO CON VOI NON LO FAREBBERO MAI….
a cura di Alessandra Cristiani – Consulente per la Sposa
INFORMATIVA
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