PRIMAVERA A PHILADELPHIA — ARTE, ARCHITETTURA, ROCKY BALBOA E PROVINCIA

IL FRULLATO – IL LATO DELLA FRU a cura di Sara Fruner from NYC

Partendo per la vicina Pennsylvania, e nello specifico Philadelphia detta Philly, mi aspettavo di trovare uno slum dietro l’altro, graffiti e underdogs, una fatale combinazione di criminoso e trasandato che avrebbe attentato alla mia vita. Ma l’unica cosa trasandata, nella mia due-giorni a Philadelphia, per festeggiare la morte dell’inverno e l’arrivo della primavera, nonché il President’s Day, è stato il pullman Greyhound che mi ci ha portato. I Greyhound sono una garanzia di sciatteria urbi et orbi. Quanto al criminoso, direi il Philadelphia Cheesesteak, il piatto tipico del posto che, a una vegetariana nemica del formaggio, fa spavento anche solo sentirlo nominare.

Arrivando a Philly dalla schizofrenica New York — dove nella rush hour le persone sembrano lievitare sui marciapiedi — par di trovarsi in campagna. Tutto tranquillo, spazi aperti e ariosi. Strade larghe e poco traffico. Tutto scorre lemme lemme a Philly. Un lemme lemme piacevole se siete abituati al folle folle newyorkese. Per un paio di giorni va bene. Come la campagna, al terzo giorno verrà a noia, immagino. Ma quei due giorni lì sono assolutamente da viversi.

Philadelphia nasconde una miniera di bellezze artistiche e architettoniche che non ha nulla da invidiare ad altre città come Chicago o Washington. La Barnes Foundation, per esempio. Questo museo raccoglie la bellezza di 900 dipinti, fra cui la più grande collezione di Renoir del mondo —181 dipinti! Poi 59 Matisse, 69 Cezanne, 16 Modigliani, 21 Soutine e 7 Van Gogh. Cifre da capogiro. Per non parlare dei tanti Picasso, Seurat, De Chirico, Rubens, Tiziano, Gaugin, Monet, Goya…

I dipinti sono disposti seguendo un metodo abbastanza unfriendly. Ti ritrovi Tiziano circondato da Henri Rousseau, De Chirico accanto a El Greco. I quadri sono appiccicati l’uno all’altro, e non c’è nessuna targhetta che ti dica nome dell’opera e autore. Quindi se siete per una certa logica espositiva, farete un po’ di fatica a mantenere il sangue freddo alla Barnes Foundation. Ma vi assicuro che ogni vostro sforzo sarà premiato. Se poi la Fondazione non vi basta, avete il Philadelphia Museum of Art a saziarvi. Anche lì, una qualità talmente alta di opere esposte da far impallidire Reijksmuseum e MoMA.

Se invece siete stufi di arte, potrete godervi la scalinata che porta al museo.

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Su quei gradini, un giovane di nome Robert Balboa, noto al pugilato come Rocky Balboa, sfoggiava uno scatto boltiano e alzava le braccia al cielo vittorioso su una colonna sonora che tutti ricorderete.

Questa scena è piantata nella memoria un po’ di tutti, quindi un po’ tutti, trovandosi a Philadelphia, ripercorrono quegli scalini, con quella musica nelle orecchie, arrivano in cima alla scalinata e alzano le braccia al cielo, come se loro stessi fossero Rocky e avessero vinto il titolo di Campioni del Mondo dopo una vita di sacrifici e uova crude a colazione. Io, che faccio parte dei tutti, non ho fatto eccezione. E in cima alla gradinata mi ha accolto, sul pavimento, il calco delle All Stars di Rocky, nella posizione in cui esultava.

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Per un amante del cinema — e della corsa — sono momenti di estasi personale. Rocky è diventato il simbolo del loser che diventa winner, che poi, negli ultimi episodi, ridiventa loser e ritorna winner mettendosi a insegnare l’arte del pugilato. Insomma è diventato un archetipo moderno dell’uomo che vive tra alti e bassi.

Se invece siete più per il rock malinconico e dolce del Boss, naturalmente, “The Streets of Philadelphia”.

Nella vostra corsa, o passeggiata, poi, potete aggiungere anche la parte lungo i binari della città: Philadelphia ha una splendida ciclabile, fiancheggiata dal fiume Schuylkill da una parte e da dei binari arrugginiti dall’altro, che renderanno il vostro walking/running un’esperienza fra Rivoluzione Industriale e promenade lungosenna.

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Architettonicamente, Philly è una vera e propria scoperta. Consiglio un tour a piedi che parte dal Comcast Center, il grattacielo più alto della città, continua con un’occhiata lunga un’ora — come minimo — a un oggetto strepitoso chiamato Cira Center disegnato dall’architetto César Pelli, per continuare poi con la meraviglia delle meraviglie, il Krishna Center for Nanotechnology, una creazione con un’ala sporgente che ti fa pensare a un uccello avveniristico sul punto di spiccare il volto.

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Se invece siete più per l’Art Déco, vi piacerà molto il Philadelphia Art Center, che potrebbe essere stato disegnato da Macintosh, se Macintosh non avesse operato a Glasgow. E poi trovate edifici anni ’20 che vi ricordano il famoso Dakota Building newyorkese — copiato e scopiazzato un po’ dappertutto — e quel neo-gotico con gargoyles annessi che rinviano a una Gotham City tutta rurale. E poi c’è naturalmente la parte “vecchia”, casette di mattoni rossi risalenti al 1720 che riportano dritti dritti all’Inghilterra dei Padri Pellegrini. Philadelphia è una coesistenza di stili diversi, che tuttavia non stonano. Coesistono amichevolmente. E non è cosa da poco.  

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Certo, c’è la questione della ruralità. A Philadelphia, per quanto ricca di tesori artistici e architettonici, si respira un po’ un’aria di provincia. Una volta provata New York City, è difficile trovare città che mantenga il livello. A Philly non capita di voltare la testa dietro a un’opera d’arte tutta umana — una donna con una combinazione di indumenti particolare, un uomo con un incedere da anni ’40 o 2020 che ti sbuca fuori così, all’improvviso, e che ti parla di cosa sia il vero stile, e di quanto indefinibile e inimitabile esso sia. A New York mi fermo e mi volto in continuazione. Il passato e il futuro ti si palesano in continuazione. A volte vorrei non dovermi voltare. Ma lo faccio ogni volta. Mi fermo e mi volto.

Ecco, a Philadelphia — così come in tante altre città — non è capitato nemmeno una volta. Manca la follia.

Ma in cambio avete la calma, una città a misura d’uomo, prezzi abbordabili, il confortevole sonnolento che, a un certo punto della vita, fa gola a tanti. Credo che molte persone potrebbero dire “potrei farci dei figli, a Philadelphia”.

Però per cominciare, cominciate con un weekend…

 

 

 

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