PROBLEMI CON IL MUSICAL AL CINEMA? PROVATE LA LA LAND

IL FRULLATO – IL LATO DELLA FRU a cura di Sara Fruner from NYC

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 Qui a New York le sale cinematografiche che hanno i mezzi — come il Sunshine nel Lower East Side o il Regal in Union Square — hanno l’abitudine di piazzare fuori dalla sala delle teche di vetro e rinchiudervi l’abito che il protagonista o i protagonisti del film in programma hanno indossato nelle scene clou. È un’abitudine di cui non riesco più a fare a meno. Ora, appena varco l’ingresso di un cine, il mio sguardo corre immediatamente a cercare la vetrina con dentro gli abiti di scena.

Non sono rimasta delusa con La La Land. Fuori dalla sala, ecco spuntare il dress giallo canarino indossato da Emma Stone, accanto al completo anni ‘30 di Ryan Gosling — camicia bianca, cravatta nera, pantalone gessato, scarpe da gangster. La La Land è ambientato ai giorni nostri, ma ha un gusto anni ‘30-40 — pure ‘50 — grazie al linguaggio che sceglie per raccontare l’amore di Mia, un’aspirante attrice che serve caffè e sogna d’imbroccare il provino giusto per arrivare finalmente a Hollywood, e Sebastian, un pianista jazz che vorrebbe aprire un locale tutto suo in cui suonare jazz duro e puro. Nel frattempo però, sbarca il lunario suonando canzoni natalizie nei pianobar… I due prima si scontrano — la canonica schermaglia amorosa iniziale della commedia classica — poi s’incontrano. E, ça va sans dire, scocca l’amore.

Sebastian e Mia cominciano a supportarsi nelle reciproche ambizioni: Mia scrive un one-woman show per se stessa, Sebastian cerca il modo di mettere in piedi il proprio locale. Un anno scandito dai capitoli inverno-primavera-estate-autunno passa nel più roseo dei modi possibili, ma poi la vita trova sempre la maniera di mettere i paletti fra le ruote ai sogni. Forse Sebastian dovrebbe essere un po’ meno duro-e-purista, e accettare di suonare in una band più commerciale, assicurarsi uno stipendio fisso e provvedere a Mia? Forse Mia non è poi così brava come crede — o invece sì? E i due si allontanano…. Se però il regista ricorresse allo stratagemma “Sliding doors”, e se quel giorno in cui Mia e Sebastian si fossero “incontrati”, invece che “scontrati”, le cose, come sarebbero andate? Rimango vaga perché non voglio in alcun modo rovinarvi la sorpresa di un film che è una sorpresa continua, una festa per gli occhi, le orecchie, le gambe e l’animo.

Il regista è Damien Chazelle, l’enfant prodige che lo scorso anno portò Whiplash alla conquista di tre Oscar — enfant prodige perché ha appena 31 anni. Pur avendo cucito una trama intrisa di sentimento — e di sentimentale — in molte parti, Chazelle non crede agli happy-ending, pur regalandocene uno, attraverso una delle lezioni più difficili che la vita ci insegna, e che insegna ai suoi personaggi: se vuoi una cosa, e la vuoi a tutti i costi, devi essere disposto a sacrificare tutto, anche l’amore, anche chi ti sta accanto. Non è la solita filosofia alla Rocky Balboa — se ci credi e sputi sangue, you can do it. Chazelle punta il riflettore sulla malinconia che la realizzazione della propria vocazione genera. E questo è un tema che gli sta particolarmente a cuore. Anche in Whiplash il protagonista sacrificava tutto, tutto tutto tutto, pur di riuscire a farcela nel jazz. In La La Land i personaggi sono due, e c’è l’amore di mezzo. Ma la tristezza del perdere X nella conquista di Y è parte integrante anche di questo suo ultimo film. Se a questo bel cruccio esistenziale aggiungete musiche coinvolgenti, coreografie — specie quella corale, magnifica, con cui il film si apre — l’ironia pepata tra i due innamorati, romanticismo q.b. e una bella intesa fra i due attori, avreste già molto per cui essere contenti.

A tutto questo aggiungete un altro ingrediente vincente: La La Land trasuda cinema da tutte le parti! E non si tratta di citazionismo fine a se stesso. Il film fa rivivere i luoghi dei classici, come il leggendario Osservatorio Griffith di Gioventù bruciata facendo entrare — letteralmente — i suoi protagonisti in quei luoghi, e in quell’Osservatorio. Utilizza certe pratiche note al musical: come quella di marcare il passaggio del tempo e delle stagioni, con certi cambiamenti che accompagnano, sullo sfondo, i personaggi, e alludono a crisi economiche e culturali — come per esempio la chiusura della sala cinematografica cult in cui Mia e Sebastian vedono proprio Gioventù Bruciata.

Se guardiamo alla scelta di Chezelle da una prospettiva più ampia, ci rendiamo conto che non è l’unico ad aver sentito lo stimolo di guardare a una certa Hollywood cinematografica dei good old days. Vi ricordate lo splendido, pluripremiato The Artist, qualche anno fa? Il regista Michel Hazanavicius non aveva forse fatto esattamente la stessa operazione?

 

Un’ultima cosa prima di lasciarvi andare al cinema a vederlo, a gennaio — e di gioire degli Oscar che si porterà a casa, a febbraio. Ricordatevi che Ryan Gosling, il Ryan Gosling verso il quale provo un’ammirazione tra l’oggettivo e l’adolescenziale, non è un ballerino. Si sforza e ci prova, e se la cava anche, qua e là. Ma non è Gene Kelly — e La La Land non è Singing in the Rain, Un americano a Parigi… Insomma, Gosling è un po’ goffo… Ma è pur sempre perfetto quando recita. Quindi gli perdoniamo anche un po’ di goffaggine. Brava bravissima, invece, Emma Stone, la cui interpretazione le era valsa la Coppa Volpi all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, che si era aperta proprio con La La Land.

Se come me non siete amanti del musical al cinema — il musical mi stona al cinema come il teatro visto in televisione — provate con questo. Dalla sala cinematografica vorrete passare direttamente a quella da ballo… o al Blue Note…

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